Antigone al Teatro Litta. Disobbedienza o Resistenza?

"Cittadini di Tebe, siete chiamati qui stasera a giudicare..." é il corifeo, colui che nella tragedia greca guida il coro, ad accogliere gli spettatori del Teatro Litta per accompagnarli in sala.

Si apre in questo modo l'Antigone di Sofocle,  proposta dalla compagnia Diapason nel riadattamento di Giampaolo Pasqualino, che ha il merito di rendere attuale e fruibile un testo classico senza snaturalizzarlo o stravolgerlo.

La scelta di un'apertura di sipario così insolita infatti non è casuale: saranno infatti gli spettatori, coro della tragedia, a determinare le sorti della Storia e della città.

L'antefatto è noto: Antigone (Eleonora Pace) decide di seppellire il cadavere del fratello Polinice, morto mentre assediava la città, contravvenendo agli ordini di Creonte (Tano Mongelli) nuovo re di Tebe, che l'ha vietato per decreto. 

Ora tocca all'assemblea, non salvare Antigone, ma decidere chi ha ragione: Creonte pretende una condanna, chiede il rispetto della legge, quale garante della stabilità sociale e dell'uguaglianza di tutti; Antigone parla di giustizia, e  di quella consuetudine pietosa ed umana per cui siamo tutti uguali si, ma solo dinanzi alla morte; Emone (Ludovico d'Agostino), figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone, cerca un compromesso tra le parti invocando amore e perdono; Euridice (Maria Silvia Greco), moglie di Creonte, prega, come farebbe qualunque madre, per la salvezza di tutti i suoi figli; Ismene (Giulia Mancini), sorella di Antigone invoca la pace, il passare oltre, che non è dimenticare i torti subiti ma semplicemente tentare una nuova strada.

Cittadini di Tebe, chi avrà il vostro voto? In quale mondo volete venire?

Se nella rappresentazione più classica della tragedia di Sofocle il dibattito rimane focalizzato sullo stabilire una gerarchia tra  tra la legge divina  (sono gli dei che chiedono di seppellire i morti) e diritto positivo (inteso come creato dagli uomini) qui il discorso si sposta sulla responsabilità collettiva, le maschere della tragedia si fanno umane e fallibili, piene di tormenti e di dubbi, parlano di sentimenti e paure ed è proprio in questo modo che restituiscono al teatro classico quella che era la funzione originaria: insegnare e sollevare un dibattito.

@Antonietta Usardi

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