Tutta La Mia Città. Luca Iacono racconta la sua Milano
E’ una Milano in bianco e nero,
dai contrasti netti ma dalle linee evanescenti, quella che ci raccontano le
fotografie di Luca Iacono, classe 1971, alcune delle quali si possono ammirare
fino al 24 febbraio nella collettiva Tutta
La Mia Città, mostra organizzata dal circolo fotografico milanese nella
suggestiva cornice di Highline Galleria
(via Silvio Pellico 2).
Tema portante della mostra la comparazione tra passato e presente, Milano e i suoi abitanti da metà Ottocento ai giorni nostri? Com'era la Milano dei nostri nonni? com'erano loro e come siamo diventati noi?
Abbiamo incontrato Luca per un
caffè e ci siamo fatti raccontare cosa ne pensa della fotografia e della nostra
città.
Una mostra che parla di Milano. Luca assomiglia alla sua città? Cosa ti
piace maggiormente del vivere a Milano?
Milano la amo e la odio, dipende
dai giorni e da quello che trovo intorno a me. Ma la conclusione è sempre
positiva, non so se riuscirei a vivere in un’altra città… mi piace ancora
scoprire qualche angolo nascosto, qualche posto che è cambiato e come è
cambiato, ma mi piace soprattutto apprezzare i luoghi rimasti integri dopo tanti
anni.
Come nasce questa passione per la fotografia?
E’ una passione di famiglia.
Mio padre andava sempre in giro
con la macchina fotografica. Un giorno, qualche anno fa, rovistando negli
armadi di casa dei miei genitori, trovai tantissime foto, album, diapositive sia
di famiglia che di Milano e dintorni. Luoghi e soggetti che si ripetevano a
distanza di tempo in modi spesso completamente diversi ma altrettanto simili. È
una cosa che mi colpì molto.
Ho percepito subito il desiderio,
anche se tardivamente, di preservare la memoria e nel contempo la volontà di
scandire il trascorrere del tempo. Ricordo che per andare a scuola prendevo il
13 e durante il percorso fino a Crocetta mi perdevo ad osservare dal tram le
vie, le strade, i negozi, le persone e cercavo sempre di “fotografarli” nella
mia mente per poi, il giorno successivo cercare di scoprire se erano rimasti
uguali a loro stessi o se alle loro storie si fossero aggiunti nuovi
particolari.
Lo faccio ancora oggi, ma con
l’ausilio della macchina fotografica: quando guardo una fotografia che ho
scattato mi torna in mente esattamente l’attimo del clic, la luce, le persone,
i suoni, le sensazioni.
Sono un fotografo “molto
romantico” – e nel dirlo , se la ride sotto i baffi.
Cinquanta sfumature di…
Bianco e nero, senza dubbio. Cosa
meglio del B/N ci suggerisce l’idea della memoria e al tempo stesso della
malinconia? Si, malinconia, perché la passione per il passato è decisamente
malinconica.
Il colore non si sposa bene con
il tempo. Potrei fare un’eccezione per i colori slavati delle Kodachrome.
Un paesaggio urbano, molto vivo,
pieno di situazioni dinamiche, ma anche popolazioni e tradizioni lontane,
quelle dell’Africa, dell’Asia, dell’America latina… cerco di viaggiare il più
possibile per conoscere quanto è così diverso dal nostro quotidiano.
Fotograficamente non trovo molto
interessante l’architettura o l’urbanistica fini a se stesse, mi piace il
movimento, osservare le persone, i loro comportamenti, le espressioni del viso.
Un luogo senza persone è un
palcoscenico vuoto: è la presenza degli attori a dare corpo alla narrazione
della vita quotidiana.
Certo amo fotografare anche i
paesaggi e gli animali perchè amo la fotografia in generale, ma è quello che
succede nella città ogni giorno che cattura principalmente il mio interesse.
Ci sono autori a cui fai riferimenti o da cui prendi ispirazione?
Molti, anzi moltissimi. Se
dovessi fare qualche nome ti direi senz’altro Gianni Berengo Gardin, Ferdinando
Scianna, Emilio Secondi, Valentino Bassanini per gli italiani ma anche Tano
D’Amico, Ivo Saglietti e Uliano Lucas. Poi ci sono i mostri sacri, Bresson,
Capa, Herwitt, Salgado ma quelli sono di dominio pubblico!
In genere ho una passione per
tutta la fotografia degli anni settanta, ho nostalgia di quelle atmosfere, anche
dei suoi colori e, in un certo senso, di quel mondo che appariva romantico e
promettente, carico di aspettative e di
desiderio di cambiamento.
La foto che avresti voluto fare e non sei riuscito a scattare?
Tantissime – ride-
Esci per fare fotografie e non
scatti nulla, esci per farti una passeggiata di relax ed ecco la foto della tua
vita. Scattare la fotografia come l’hai
immaginata richiede pazienza, tantissima pazienza.
Alle volte si aspetta ore per
avere la luce giusta, l’inquadratura perfetta ma non sempre riesci a portare a
casa il risultato sperato.
In Islanda, per esempio, panorami
stupendi, tempo pessimo, vicissitudini disastrose e pochissime foto… magari fai
2 giorni a Volterra ed è tutto stra perfetto! Certo ci si può tornare, ma
tornare a Volterra e tornare in Islanda… non è proprio la stessa cosa… sarebbe
preferibile che le catastrofi capitassero dove è più semplice tornare J
@Antonietta Usardi
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