Otto marzo, otto donne a Milano: Camilla Cederna

Avrebbe potuto limitarsi a scrivere articoli di moda e pettegolezzi, di amori, attori e attrici, invece Camilla Cederna fin dal suo primo articolo dichiarò che il suo sguardo sul mondo che la circondava sarebbe stato schietto, onesto, senza fronzoli, ben aperto a vedere e comprendere cosa si nasconde dietro le facciate d’apparenza. 

Camilla inizia la sua carriera nel 1939 scrivendo sul giornale “L’Ambrosiano” con un articolo dal titolo “Moda nera” in cui descrive e prende in giro lo stile delle donne dei gerarchi fascisti a partire da Claretta Petacci: le costò l’arresto e il processo al Tribunale Speciale con una condanna, mai scontata, a sette anni. 

Ma non si lascia intimidire e negli anni della Repubblica di Salò pubblica un articolo in cui non risparmia pesanti critiche al regime fascista, finendo in carcere per due mesi. 

Camilla è convinta che la moda rifletta le evoluzioni della società da ogni punto di vista: economico, ideologico e culturale; mostra vizi e pregi del Paese. 

Proviene da una famiglia borghese colta e ricca, ben radicata nella storia di Milano, con uno zio che è stato sindaco della città, con un palco al Teatro alla Scala, i genitori sono degli imprenditori di cotone e il fratello, Antonio, è tra i fondatori di Italia Nostra: ciò permette a Camilla di raccontare la borghesia milanese dall’interno, inimicandosi diversi volti illustri della città che iniziano ad emarginarla. 

Camilla, con il suo filo di perle al collo, il volto appena truccato, ha uno sguardo intenso, adatto a indagare i dettagli, le profondità della realtà, i suoi risvolti; nel mondo quasi esclusivamente maschile dell’informazione, riesce a trovare il suo spazio di donna che vuole raccontare e dare la sua testimonianza civile. 

Camilla scrive per “L’Espresso”, ha una rubrica sua, “Il lato debole”, in cui racconta la società in cui vive, in costante involuzione, sempre più ricca di vizi e più povera di virtù. Poi arriva il 12 dicembre 1969 e tutto cambia. 

Cambia l’Italia e cambia lo sguardo di Camilla; capisce che il Paese ha bisogno d’altro, necessità di verità, di onestà; i suoi articoli diventano più lucidi, precisi, cercando di svelare le responsabilità degli eventi e non risparmia domande scomode. 

La bomba di Piazza Fontana è seguita dalla morte di Pinelli: è proprio Camilla Cederna, quella notte, a presentarsi alla porta di Licia, moglie dell’anarchico ucciso alla Questura di Milano, per sentire a caldo le sue dichiarazioni: un incontro che si trasformerà in una profonda amicizia. 

Sono anni difficili, pesanti, pieni di odio e rancori, ma Camilla è libera da tali sentimenti, cerca la verità ed è in quest’ottica che scriverà l’articolo d’accuse al commissario Calabresi

Alla morte del commissario, verrà accusata di essere una dei mandanti dell’omicidio, un’istigatrice; sarà definita “l’amica dei bombaroli”. 

Ma Camilla non si lascia intimidire, vuole continuare a scrivere e raccontare i mutamenti della società, spinta dall’ideale di una società senza sopraffazioni. 

Ed è proprio questo a spingerla a impegnarsi nell’inchiesta su Giovanni Leone, allora Capo dello Stato; pubblica il libro, basato sulle testimonianze di Mino Pecorelli, dal titolo “Giovanni Leone: la carriera di un presidente”, in cui racconta irregolarità commesse dal primo ministro e da alcuni suoi familiari, favorendo le dimissioni di Leone. 

Tanti aggettivi le sono stati accostati: “gran dama della carta stampata”, donna elegante e raffinata”, “scrittrice spiritosa e intelligente”, “donna schizoide, irrequieta e patetica”, “esponente maoista che si veste in boutique”. 

La verità è che Camilla Cederna ha avuto la forza morale di non voltarsi dall’altra parte di fronte all’ingiustizia, di non negare il degrado civile e intellettuale della società, di non ignorare il dolore altrui. 

Negli anni della nascente Milano da bere, Camilla aderisce alla prima forma civica esterna al sistema politico, il circolo Società civile

Ha raccontato, come pochi altri, i piccoli e grandi mutamenti del nostro Paese, in un periodo in cui tutto avveniva velocemente e spesso di nascosto, intuendo debolezze e malattie della società e dei suoi membri, tracciando ritratti precisi, fulminanti che illuminavano la realtà degli eventi. 

Milano le ha reso omaggio solo nel 2013 intitolandole il giardino di Largo Richini, davanti all’Università degli Studi di Milano. 

@Stefania Cappelletti

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