L’Arte Rubata alla Fondazione Prada

Dal 18 marzo al 28 agosto la Fondazione Prada ospita, nella galleria Nord, la mostra “L’image volée”, curata dall’artista Thomas Demand

Partendo dall’idea secondo cui tutto si fonda su ciò che è stato fatto e creato in passato, la mostra indaga le modalità con cui gli artisti hanno sempre dato vita ad una propria opera riferendosi ad iconografie già esistenti. 

Il progetto esplora i limiti tra originalità, invenzioni concettuali e diffusione di copie, concentrandosi sul furto, la nozione di autore, l’appropriazione e il potenziale creativo che è insito in queste ricerche.

 La mostra, ospitata nello spazio espositivo progettato dallo scultore Manfred Pernice, presenta più di 90 lavori realizzati da più di 60 artisti dal 1820 ad oggi, incluse le commissioni speciali di Oliver Laric e Sarah Cwynar
  
Il percorso espositivo propone tre possibili direzioni d’indagine: l’appropriazione fisica dell’oggetto o la sua assenza, la sottrazione relativa all’immagine più che all’oggetto stesso, e infine il furto attraverso l’immagine stessa. 

Nella prima sezione sono raccolte fotografie, dipinti, film in cui l’oggetto rubato o mancante diventa corpo del reato o scena del crimine; in esposizione la denuncia incorniciata di Maurizio Cattelan, “Stolen Rug”, tappeto rubato su richiesta di Richard Artschwager, la tela di Adoplh von Menzel, “Friedrich der Grosse auf Reisen”, il quadro di Gerhard Richter, “Richter – Modell”e “Unfolded Origami” di Pierre Bismuth

La seconda sezione analizza le logiche dell’appropriazione all’interno del processo creativo, partendo dall’idea di contraffazione e falsificazione, esemplificata dalle banconote riprodotte a mano dal falsario Günter Hopfinger; Sturtevant, partendo dal ritratto fatto da Man Ray a Duchamp, mi sostituisce sia all’autore che al soggetto; la sezione prosegue con un insieme di opere che prendono in prestito l’elemento visivo da un altro medium o linguaggio, come Thomas Ruff in “jpeg ib01”, Anri Sala con “Agassi”, Giullaume Paris con il filmato “Fountain”.

L’ultima sezione affronta la questione della produzione di immagini che, per loro stessa natura, svelano aspetti nascosti sul piano privato o pubblico, come l’installazione video di John Baldessarri “Blue Line” o la serie “Hotel” di Sophie Calle

La mostra si conclude con l’esposizione di veri e propri strumenti di spionaggio usati dalla DDR nell’Unione Sovietica. 

@Stefania Cappelletti

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